Maya

Maya nasce il 19 agosto 2012, apparentemente sana e nei primi 6 mesi di vita prosegue il suo sviluppo psicomotorio nella norma. Intorno agli 8 mesi inizia a manifestare i primi segnali della malattia: una reazione abnorme agli stimoli acustici la faceva sussultare in maniera eccessiva, la manualità fine era poco sviluppata, non dimostrava interesse per i giocattoli, messa seduta a terra non tentava di spostarsi in nessun modo, anzi bastava una piccola spinta per farla andare giù. Al primo episodio febbrile importante (febbre a 39.5°) Maya ha una crisi epilettica che subito viene classificata come “convulsione febbrile”, nel mese successivo altre due crisi epilettiche ci danno la conferma che c’è qualcosa che non va.

Con una visita dalla neuropsichiatra ed una risonanza magnetica iniziamo un lungo percorso che ci porta, nel settembre 2014, alla terribile diagnosi GANGLIOSIDOSI GM1 anche detta MALATTIA DI TAY-SACHS INFANTILE. Un malattia genetica rara causata dalla mancanza dell’enzima esosaminidasi A, il cui deficit porta alla formazione di un accumulo di sostanze lipidiche all’interno delle cellule neuronali causandone la morte. Si distinguono 3 forme (INFANTILE – GIOVANILE – ADULTA) in base all’età d’esordio, più l’insorgenza è precoce, più la sintomatologia della malattia è severa.

La forma INFANTILE compare tra i 3 e i 6 mesi di vita. Il segno più precoce è rappresentato dagli scatti improvvisi in risposta al rumore (startle). Il ritardo psicomotorio si manifesta intorno agli 8 mesi in associazione a ipotonia, amaurosi e megaencefalia. La malattia progredisce rapidamente fino allo stato di decerebrazione, con un exitus nella prima infanzia, e causa:

- Arresto dei processi mentali

- reazioni di spavento ai rumori improvvisi

- incapacità a reagire agli stimoli ambientali (non sorride, non si volta)

- Indebolimento progressivo dei muscoli

- progressivo arresto della crescita

- incapacità di stringere gli oggetti

- perdita della coordinazione

- perdita progressiva della deglutizione

- difficoltà respiratorie dovute all’accumulo di muco, data l’incapacità di espellerlo

- paralisi totale

- perdita dell’aggancio visivo

- cecità totale

- Crisi epilettiche

 

Non esistono cure che la possono salvare, solo palliativi per attutire e ritardare un po’ i sintomi della malattia. I primi tempi sono stati durissimi, accettare che non ti avrei mai vista parlare, camminare, giocare, festeggiare un compleanno, che non ti avrei mai sentita dire "mamma", che non avrei mai potuto ricevere da te un abbraccio o un bacio, che la tua vita sarebbe durata così poco e sarebbe stata piena di difficoltà e sofferenza ... è stata una montagna altissima da scalare. Ho pianto milioni di lacrime per giorni, per mesi MAI davanti a lei però! Quando ero con lei sorridevo sempre, scherzavo sulla malattia, la prendevo in giro per la sua postura buffa e per la bavetta che le colava dall'angolo sinistro della bocca, cercavo di stimolare quei pochi gesti di normalità che ancora faceva ma ogni volta che uscivo per andare a fare qualche commissione e mi ritrovavo sola in macchina inevitabilmente pensavo all'incubo che stavo vivendo, mi sembrava impossibile che fosse vero, mi facevo sempre la stessa domanda "perchè proprio a me? Perchè proprio a lei?" e piangevo tutte le mie lacrime.

Nonostante la malattia Maya, nell'estate 2015 a 3 anni compiuti, riusciva ancora a mantenere la posizione seduta, a reggere il capo, a muovere un pochino mani e braccia, era un fatto eccezionale perchè solitamente i bimbi con questa patologia già a 2 anni sono completamente paralizzati, una dottoressa del Gaslini di Genova rimase sbalordita nel vederla ancora così "attiva", mi disse che probabilmente Maya aveva una forma anomala di Tay Sachs e che i sintomi e le conseguenti degenerazioni erano "in ritardo". Certo non parlava, non camminava, si alimentava artificialmente però interagiva ancora e questo per noi era tantissimo, era tutto quello che avevamo! Riuscivamo ancora a "giocare" facendole toccare e spostare degli oggetti, riuscivamo a portarla al mare a sentire il rumore delle onde, il sole sulla pelle, la brezza sul viso ... in questi momenti capisci cosa vuol dire accontentarsi di ciò che la vita ti offre, mi aggrappavo con tutte le mie forze e la mia positività a quel poco che avevo e per me era TUTTO.   

Pochi mesi dopo ci stavamo avvicinando al suo terzo Natale e già questo turbava la nostra serenità, quando si hanno dei bimbi piccoli questo periodo è magico : fare l'albero insieme, vedere il loro entusiasmo, la loro espressione di gioa e stupore quando scoprono i regali sotto l'albero e li scartano, sono emozioni e ricordi che i genitori portano nel cuore per sempre... Era il 18 novembre 2015, Maya viene ricoverata a causa di una polmonite inesistente... i raggi parlavano chiaro: nessuna traccia di polmonite (cosa confermata qualche giorno dopo dai medici della rianimazione del Regina Margherita) purtroppo il dottore che l'aveva in cura mi disse che si fidava di più del suo orecchio che di una lastra! Dopo poche ore dal ricovero l'arresto cardiaco causato da un calo improvviso del livello di sodio nel sangue... semplicemente troppi liquidi immessi nel suo organismo, poi 10 giorni in RIA... Da quel momento tutto è precipitato, la mia bimba non era più lei, sapevo che prima o poi sarebbe successo ma un conto è arrivarci gradualmente un altro è trovarcisi di colpo, per giunta a causa di un errore di chi doveva aiutarla a stare meglio! Arriva la consapevolezza che non l'avrei più vista sorridere, che non sarebbe più stata capace di stringermi il dito o di interagire con me... queste erano le sue capacità e per me erano tantissimo... di colpo sparite, annullate. Così abbiamo passato il nostro primo Natale all'ospedale e da allora i giorni di festa si sono trasformati in giorni di limitazioni: niente visite, niente pranzo con i parenti, niente uscite divertenti, troppo rischioso per una bimba immunodepressa e con gravi patologie respiratorie; proprio così, molto prima della primavera 2020 è iniziato il nostro lockdown che sarebbe durato 5 anni. Ironia del destino, Maya è volata via il 27 aprile del 2020... finalmente il suo lockdown era finito proprio quando iniziava quello di tutto il resto del mondo!

Pian piano la nostra vita con la malattia era diventata una routine, un'abitudine, una condizione quasi normale, tranne in QUEI GIORNI : il suo compleanno, il Natale, le occasioni speciali come il primo dentino perso, il 10 settembre 2018 che avrebbe dovuto essere il suo primo giorno di scuola! In una vita normale, in una vita senza TaySachs avresti dovuto varcare il cancello della scuola per la prima volta... felice? emozionata? eccitata? Chissà... Io di sicuro si, ti avrei guardata entrare, commossa, forse mi sarebbe scesa una lacrimuccia. Ecco in queste occasioni si che trististezza e sconforto si facevano sentire forti e mi schiacciavano come un macigno e allora ogni sforzo per cercare di vivere una vita normale svaniva in un attimo ... arrivava la tristezza ... arrivava la rabbia, perchè non era normale dover spegnere le candeline al posto suo, aprire i regali al posto suo... NO non era normale e non era giusto, ma era la triste realtà. Piangevo, mi disperavo, mi arrabbiavo per un giorno, poi mi scrollavo di dosso il magone e ricominciavo la lotta.

Il ricordo di lei è sempre vivo e nitido ma cerco di tenerlo sopito per non esserne travolta, ho due bambini di 3 e 6 anni che hanno bisogno di una mamma forte, allegra e positiva ! Ci sono però dei momenti in cui farlo è impossibile e i ricordi saltano fuori tutti insieme... la nostalgia dei suoi muti sospiri, i suoi occhioni belli ed espressivi come pochi (quando non li aveva chiusi e ci concedeva di perderci nel suo sguardo, uno sguardo incredibilmente vivo considerando il suo danno neurologico). Mi succede ogni anno all'avvicinarsi del suo compleanno e ogni volta inevitabilmente faccio lo stesso pensiero : come sarebbe stata la nostra vita, come sarebbe stata Maya senza TaySachs?



Voglio condividere con voi le bellissime parole di Irene, l'educatrice di Maya, che ha percorso insieme a noi questa strada impervia, diventando tata, infermiera, amica, sostegno morale, una persona unica, meravigliosa ed insostituibile :

 

Non so se abbiate mai conosciuto un papà che ha per suoneria la risata spenta di sua figlia. Una figlia dimentica di tutte quelle connessioni neuronali necessarie per far sgorgare dal cuore quella risata. Quella che solo i bambini hanno. Quella che i genitori conservano poi nel cassetto dei ricordi più dolci, una volta che i loro figli si sono trasformati in adolescenti arrabbiati e ribelli, in adulti troppo occupati ad essere adulti per ridere come bambini.

Non so se abbiate mai conosciuto una nonna. Una di quelle nonne che profuma di buono e che morirebbe al posto di sua nipote, se solo potesse. Una di quelle donne la cui forza si percepisce nello sguardo, nelle mani, nella presenza solida e instancabile. Una di quelle donne che deve essere una madre forte e non può essere una nonna stanca. Una donna che accompagna la figlia per mano nel posto più buio al mondo e non si lascia neanche lo spazio per piangere, come una nonna avrebbe tanta, tanta voglia di fare.

Non so se abbiate mai conosciuto una mamma che vive un presente di lotta contro un futuro ineluttabile. Una mamma dalle cui mani dipendono il respiro, la tosse, la digestione, i bisogni fisiologici e il massimo benessere possibile della figlia (che è sempre troppo poco). Una madre abituata a valutare le giornate in base ai battiti del cuore della sua bambina, alla quantità di ossigeno nel suo sangue, ai millilitri di pipì che è riuscita a farle fare, così come i grammi di cacca, al numero di crisi epilettiche che le ha visto soffrire, alla loro durata, a quante volte quel cazzo di saturimetro si è messo a suonare durante la notte e lei si è dovuta alzare da quella brandina sempre troppo scomoda, al capezzale della figlia da anni ed anni, e l’ha trovata lì, piena di muco, con gli occhi sbarrati, in preda ad una crisi epilettica. Bibibiiiip bibibiiip bibibiiiiip. Una delle tante notti in cui le ore di sonno accumulate sono sempre troppo poche per sperare che, domani, sarà un giorno migliore. Perché l’unica certezza di questa mamma è che il domani sarà sempre peggiore del giorno che l’ha preceduto. La lenta discesa nel luogo più buio del mondo l’ha iniziata quando ha partorito la sua bellissima bambina, ma non lo sapeva. Non sapeva che da quel giorno ogni passo l’avrebbe trascinata giù, dove nessun genitore dovrebbe arrivare. Nel fondo di un letto vuoto, di un cuore spento, di un futuro strappato via.

Non so se abbiate mai conosciuto un bimbo di tre anni con lo sguardo di un uomo adulto. Con lo sguardo di qualcuno che ha visto la sofferenza in faccia e non si è voltato. Con lo sguardo di qualcuno che non si è mai tirato indietro, anche quando il peso sulle sue piccole spalle gravava come un macigno.

Non so se abbiate mai conosciuto una bambina con grandi occhi verdi, mani morbide che resteranno bambine, folti capelli castani, ciglia lunghe e labbra dolcissime. Una bambina la cui esistenza consegna a chiunque la guardi una domanda, sempre la solita, sempre la stessa: “Perché?”.

Quante volte, guardandoti, mi sono chiesta perché, cara Maya.

Lo confesso, non a te, perché tu lo sai. Confesso che mi hai fatta arrabbiare tanto, a volte. Confesso che, in alcuni giorni, la tua sofferenza mi era insopportabile. Ti guardavo e non trovavo risposta alla tua faticosa esistenza, alla tua sofferenza, alla pesante assenza di tutto ciò che di bello avrebbe dovuto fare una bimba della tua età.

Ricordo che una volta abbiamo messo le mani nella farina bianca ed in quella di mais, nel riso, nella impalpabile maizena. Conducevo le tue mani alla scoperta di quelli che speravo fossero degli stimoli per te piacevoli e fruibili, ai quali ancorare la consapevolezza di te e del mondo esterno. Quella mamma, quella di cui ho scritto poco fa, quando mi sono scusata per il casino che avevamo fatto e per le tue mani e maniche sporche, mi ha guardata e ha sorriso. Ha sorriso a quello squarcio di normalità che le si era aperto davanti agli occhi. Sua figlia, con le mani sporche. Un ossimoro.

Hai perso alcuni denti da latte, perché fisiologicamente era ora, ma erano come nuovi. Gli altri non sono mai cresciuti. Gente realista e consapevole, i denti. Non hai consumato alcun paio di scarpe. La nonna non ti ha mai dovuto mettere nessuna toppa ai pantaloni. Le trecce riuscivo a fartele sempre e solo da una parte; ho imparato a farle bene sulla tua testolina immobile e non ci sarà volta in cui intreccerò dei capelli senza pensare a te. La maglia te la cambiavo con immensa fatica e scusandomi mille volte perché la testa non te la sfilavo mai abbastanza delicatamente e con i vari tubi facevo sempre un gran casino. Ma lo sapevi che ce la mettevo tutta e so che ridevi indulgente della mia goffaggine, sotto sotto. Gelati, corse, pantaloni sporchi d’erba, testolina sudata, parole, sogni, bolle di sapone, feste, capricci, attese, giochi, scuole, amici… Non conoscevi niente di tutto ciò e niente conoscerai.

Ogni tanto guardavo in alto, dove guardavi tu. Fissavo quel punto e mi chiedevo cosa ci fosse, chi ci fosse. Non lo saprò mai. Quando ti ho conosciuta ridevi ed emettevi dei suoni gioiosi se sentivi la voce del tuo papà, della tua nonna, a volte anche la mia. La mamma si arrabbiava perché lei era sempre con te e questa reazione la avevi raramente con lei. Ma io lo so che quando sentivi la mamma ti sorrideva tanto il cuore. Ti ricordi quando ti addormentavi solo con lei sdraiata accanto a te? Ogni tanto ci provavo anche io, ma di certo non era la stessa cosa! Quell’odore lì, l’odore del posto più sicuro al mondo, non ce l’avevo.

Ti sono mancate tante cose. Tante altre, invece, le hai avute: hai avuto tutto ciò che non si augurerebbe a nessuno, tanto meno ad un bambino. Ti ho vista soffrire con gli occhi sbarrati prigioniera dell’ennesima crisi epilettica. Ti ho vista lasciar scorrere una lacrima sulla guancia dopo aver tossito fino allo sfinimento, fino al vomito, fino a non riuscire più a respirare. Ti ho sentita lamentarti per un dolore a cui non sapevamo dare un nome, che non sapevamo dove fosse, come alleviare. Ti ho vista vivere in una stanza di ospedale periodi così lunghi che si contavano in mesi, non in giorni. Ho visto i tuoi valori vitali farci tanta paura, in certi momenti, salire e scendere troppo in alto, o troppo in basso. Ti ho vista navigare in un mare in tempesta per tutta la tua breve vita, tu e la tua barchetta di carta troppo piccola, troppo fragile, rotta e sgangherata ancor prima di cominciare il viaggio.

Eppure hai navigato a lungo, piccola Maya. Perché l’hai fatto? Per noi, lo so. Questa è l’unica risposta che ho saputo trovare al perché della tua difficile esistenza. Perché? Per noi. Perché ci hai resi migliori, ci hai resi più umani, ci hai resi più consapevoli. Ci hai insegnato il valore della vita, ci hai insegnato la forza e la determinazione. Ci hai insegnato che non importa quanto sfigato sia il tuo bagaglio di partenza, ci puoi sempre tirar fuori qualcosa di buono, qualcosa di bello. Sempre. Anche se hai la Tay-Sachs e la tua aspettativa di vita non supera i 3 anni. Anche se sei solo una bambina, una bellissima bambina con una malattia più grossa di lei, così rara che anche chi ha studiato medicina sembra non conoscerla, a volte. Hai vissuto abbastanza a lungo da insegnare a tuo fratello tutto ciò che era importante sapesse per essere un adulto empatico, forte, accogliente e rispettoso. L’impronta che gli hai lasciato nel cuore lo guiderà tutta la vita. Hai stravolto la vita dei tuoi genitori, che tante volte si saranno chiesti e si chiederanno ancora come sarebbe stata la loro vita se... Non lo so riempire quel “se”, ma so che ti hanno amata di un amore disperato, forse, ma autentico e indistruttibile. Un amore che li ha condotti nel posto più buio del mondo e loro, senza tirarsi indietro, hanno accettato di seguirlo, di fidarsi di lui. Hanno fatto scelte che nessun genitore dovrebbe fare, ma le hanno fatte perché era il momento. Perché era giusto. Perché era ora di liberarti, era ora che ti sporcassi le ginocchia d’erba e che ti mettessi un dito nel naso, se ti andava.

Perché, forse, ci hai insegnato tutto quello che avremmo dovuto imparare.

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